27 gennaio 2015

Battiti


Il suo cuore batteva, batteva, batteva, come che vi fosse un tamburo che scandisse il ritmo e amplificasse l’emozione che teneva nascosta dentro di sé.


Ogni battito era un insieme di forti emozioni, parole, gesti che esprimevano il forte desiderio che nutriva per quell’uomo. Ingenuamente aveva iniziato come le altre volte con un gioco di seduzione, ma stavolta andò diversamente. Non riuscì a tenere a bada il suo cuore.


L’uomo che si trovò dinanzi era differente da quelli conosciuti sino ad allora: capiva le donne, aveva un’esperienza senza eguali, intuiva e diceva apertamente ciò che pensava, ma allo stesso tempo, viveva intensamente facendosi trasportare come lei, quando si donavano reciprocamente.


Lei aveva cercato più volte di trattenere e fermare quei battiti, ma non ci riuscì. Si era sentita accettata e accolta tra le sue braccia, non era “troppo” o “esagerata”, finalmente era giusta.


Lui sapeva come prenderla e condurla senza che lei se ne rendesse conto. Bastava una frase per farsi capire e riportarla sulla giusta direzione. Lei fino a quel momento era stata un cavallo inselvatichito, libero, si era creata una corazza per proteggersi dai sentimenti, dava ascolto al suo istinto, unico e sincero consigliere delle sue azioni, fiera di aver raggiunto questo stato, possedeva un carattere indomito, ribelle. Era più facile che come un pesce vivo sguizzasse via, piuttosto che rimanere. E alla parola “domata” associava un cappio al collo che un senso di tranquillità.


Nuovamente il battito si fece sentire e riprese a scandire quel ritmo, quasi a voler dire con un certo impeto che quell’emozione esisteva, era vera, non era solo una sua invenzione o macchinazione del suo intelletto.


Il telefono squillò: lui voleva incontrarla.


Il cuore per un attimo si fermò, perturbato dal dover gestire una nuova situazione creatasi. Lei si sentì a dieci centimetri da terra, in uno stato di grazia, in cui nulla poteva turbarla.


Ebbe l’impressione di assaporare le sue morbide labbra, di farsi stringere dalle sue braccia forti, a lasciarsi andare senza paura di sbagliare e tacere per ascoltare le sue parole.


E se cadde qualche lacrima… furono solo i battiti accelerati del suo cuore che le ricordarono il cavallo scalciante che viveva in lei  ansioso di correre.

Eliza Bennet


21 gennaio 2015

Bambine


Poche cose per inventare una storia: una scatola, una seggiola e tanta fantasia.


Pomeriggi interi trascorsi in soggiorno a inventare storie.

Una sedia assumeva le sembianze di un’automobile, un ufficio, oppure una casa. 


Non era necessario avere tutto, ma crederci. 


Poi se ne univi due potevi mettere un filo per stendere i vestiti delle bambole. 


Proprio come nella realtà.


Piccoli giochi sognando di diventare donnine.

Sembrava che quel gioco non dovesse finire mai.


Così ho imparato a lasciare andare la fantasia: immaginando che quei sogni potessero un giorno divenire realtà.

E così fu.

Eliza Bennet

14 gennaio 2015

Sogno

Muovi sottili mani
Raffiguri disegni,
giochi.
Mi sorridi.
Continua la tua musica:
viaggi tra sogni e libertà.
Desiderio:
Eternità.

Eliza Bennet
 7 febbraio ‘98 
Enya “Watermark”

2 gennaio 2015

Danze parte 2



Lei sorpresa di una simile richiesta disse: -Sono in giro con la bicicletta, sto facendo una  passeggiata, vuoi raggiungermi?- tutto poteva pensare fuorché potesse cercarla in quel pomeriggio. Non stavano “insieme” come le coppie che frequentava, ognuno di loro faceva la propria vita, avevano i propri impegni, ma si vedevano quando avevano voglia.  Per Anna fu come ricevere un regalo inaspettato. Ultimamente era capitato che fosse lei a cercare lui e che Roberto si concedesse.


Stavolta fu diverso: era stato Roberto a compiere il primo passo, dopo esser ritornato dalla vacanza con gli amici. Lui non le disse nulla, ma in fondo l’avrebbe voluta fare con Anna, si era divertito, ma sistematicamente quando era rimasto solo aveva pensato spesso a lei. Era una ragazza diversa dalle solite che aveva conosciuto: l’incuriosiva la cultura e la ricchezza che aveva nello spirito, non amava mostrarsi o strafare, era bella con quel leggerissimo trucco e nella sua estrema semplicità. Dolcissima poi quando non si aspettava un complimento o inaspettatamente lo sorprendeva quando indossava un vestito che esaltava le sue morbide curve. Viveva in un mondo tutto suo e questo a Roberto lo affascinava. Sapeva gioire delle cose semplici: era felice di essere viva.


Quando aprì la porta di casa non esitò a chiamarla, era stato il suo primo pensiero della mattina e desiderava sentire la sua voce. 


Di li a poco la raggiunse e poco importava che non fosse preparata per uscire, che non fosse truccata, che non si fosse sistemata i capelli, sentiva che era giusta così. A lei piaceva questo di lui: badava alla sostanza, in fondo non si faceva l’amore nudi?


L’accolse con un bacio che quasi le tolse il respiro. Lei si fece travolgere da quella passione e provò un infinita gioia nel ricevere simili attenzioni da Roberto. Aprirono gli occhi, si guardarono certi che entrambi volevano la stessa cosa: non avere sguardi indiscreti che potessero turbare la loro intimità.


Tornarono nel loro luogo segreto: l’appartamento di Roberto. Lui la spogliò e nel rivedere le rotondità di Anna, Roberto si emozionò come se fosse la prima volta che faceva l’amore con una donna. Si fece stringere dalle sue braccia. Lui le tolse la maglietta e velocemente le sbottonò i jeans. Era come se i loro corpi avessero fretta di odorarsi, di sentire il calore reciproco e insieme potessero unirsi per danzare. Potevano chiudere gli occhi perché sarebbe stato l’istinto a guidarli. Era sempre la stessa spinta che permetteva di eseguire quei gesti in assoluta armonia, come se il corpo dell’uno aspettasse quello dell’altro e poi riprendessero a ballare insieme. Non vi era una musica di sottofondo: era una melodia che sentivano entrambi. Dolcemente le mani di lei sfiorarono il corpo di lui quasi ad assaporare ogni centimetro della sua pelle. Anna con le mani, la bocca e con gli occhi parlò: si sentirono alcuni gemiti e il suo corpo vibrò all’unisono con quello di Roberto. Era come se cantassero una canzone melodiosa arricchita dalle voci di entrambi, ricchissima di sfumature, di stacchi e tenere riprese. 


Roberto godeva come non mai nel vedere quel corpo che si donava totalmente a lui, nel notare quanto l’eccitazione e il godimento avevano reso mossi e disordinati i capelli di Anna. Non goderono sono con i loro genitali, erano coinvolti totalmente: corpo e anima. Non si distingueva più il corpo dell’uno dall’altro, non si capiva dove finisse un arto di lei da quello di lui: solo sospiri, gambe avvinghiate e bocche voraci di succhiare le labbra e restituire avidamente un altro bacio voluttuoso. 


Una danza che li unì a tal punto che riuscirono a godere insieme.


In Anna fu tale l’emozione che non riuscì a trattenere una lacrima, ma una carezza di Roberto la tranquillizzò.

Eliza Bennet

Danze parte 1


Anna aveva chiuso il libro, stanca e un po’ annoiata. La giornata era soleggiata e accompagnata da un leggera brezza che rendeva il pomeriggio tutto sommato sopportabile. Nonostante in altri momenti avesse apprezzato la lettura di quel romanzo, adesso desiderava fare qualcos’altro, ma non sapeva cosa. Lo chiuse, sollevò lo sguardo e gli occhi si rivolsero al quadro di Goya “Il fantoccio” appeso alla parete di fronte a lei. Le ritornarono in mente quando da bambina giocava con sua sorella fino a tarda sera e arrivava il momento fatidico di dover lasciare tutto per andare a letto. In quel caso il tempo scorreva veloce e non c’era un momento per annoiarsi. 

Si alzò dal divano, in cerca del telefono. Lo afferrò, ma chi chiamare? Molti amici erano partiti per le vacanze compresa sua sorella. Era chiaro che quel pomeriggio sarebbe stata sola.

Guardò fuori, notò che ancora c’erano diverse ore di luce e poteva approfittarne per un giro in bicicletta. Si rinfrescò, cambiò i pantaloni e la maglietta e senza pensarci, si diresse alla porta del garage. Si fermò  e la prima cosa che le venne in mente fu: “Ma ho qualche soldo in tasca?”.  Guardò il portafogli e fu un’amara constatazione: una banconota da 5 euro e qualche moneta e nient’altro. Doveva accontentarsi, anzi farseli bastare per qualche giorno. Forse avrebbe potuto prendere un gelato, ma poco importava, aprì il pesante basculante del garage, posò la borsa sul cestino, infilò gli occhiali da sole e incominciò a pedalare. Voleva allontanarsi da casa quasi che così facendo avesse scacciato via quei pensieri malinconici.

Non appena fu in strada incominciò a pedalare ancora più velocemente: provò una serenità che le fece nascere un luminoso sorriso. In un istante l’inquietudine che qualche minuto prima l’aveva tormentata, sembrava scomparsa, dissolta nel nulla. Avendo la possibilità di rallentare senza intralciare il traffico, poteva guardare le case, i condomini, le villette che si susseguivano, come se fosse la prima volta che stesse percorrendo quel tragitto. In ognuna di loro riuscì a cogliere particolari che nei giorni scorsi non aveva notato.

Anna percorse la strada principale e dovette fare attenzione nell’attraversarla per non incorrere nei binari del tram. Poi la via si fece leggermente in salita, attraversò, sollevò la bici su per la scalinata raggiungendo l’argine. Qui il percorso era sterrato, era utilizzato da persone che facevano jogging. In quel tratto non poté andare ad un’andatura spedita come aveva fatto in precedenza, i sassi rendevano difficoltoso l’avanzare. Non si arrese, l’aria, i ciottoli rendevano la passeggiata ancora più briosa e accattivante.

A poco a poco diminuirono le persone, il tragitto si fece più in salita e Anna dovette scendere dalla bici e per portarla a mano per arrivare fino in cima. Le squillò il telefono. “Strano, chi può essere?” guardò per qualche secondo in cellulare incredula: Roberto.

Per poco dall’emozione non le cadde il telefono dalle mani, poi rispose con una voce impacciata  e disse:  - Ciao, come stai? -  lui ricambiò  con:  - Sono tornato oggi dal viaggio, ti va se ci vediamo?

...continua

Eliza Bennet