30 novembre 2014

Quando tornerai

Quando rincaserai,
stanco delle fatiche
della giornata,
Sarai inondato
Da un profumo
Inebriante
di petali variopinti
lasciati sparsi
in ogni stanza.
Una mano misteriosa
Li ha lasciati
Per cullarti.

Eliza Bennet

19 novembre 2014

Una valigia

La valigia era pronta sul divano. Non era molto grande, in fondo non stava fuori per tanto tempo e poi aveva notato che in quei giorni non aveva bisogno di molte cose: uno spazzolino, dei pantaloni pesanti,  un maglione, una camicia e della biancheria intima. La chiuse, certo che anche stavolta aveva preso tutto, ma non appena fece il gesto di sollevarla, le venne in mente lei e quel indimenticabile incontro.

Tutto era stato diverso rispetto alle donne con cui era uscito fino a quel momento. Generalmente era stato lui a decidere con chi uscire. Era sempre lui a fare il primo passo. Con quella donna fu letteralmente “scelto”. Tutta la situazione era stata intrigante e disarmante: non si era mai trovato di fronte una “cacciatrice”, una donna che già dal primo incontro ti faceva sentire “avvolto tra i suoi tentacoli”.

Si conoscevano da tempo, ma fu la situazione che li mise vicini. Lei attese come una vera predatrice che lui si avvicinasse, poi con un tono molto affabile gli chiese come stava, gli raccontò alcuni particolari della sua vita. L’esperienza gli fece capire che l’avrebbe vista in un altro momento, in un posto lontano da quel luogo, che non avrebbe staccato le labbra dalle sue, che si sarebbe avvolto tra le sue gambe.

In quel momento ripensò a quella serata, a quanto desiderasse averla lì con se e a quanto in questo momento fosse impossibile rivederla.

Andava via, ma non da lei. Si ritrovò nuovamente in quella stanza d’albergo. Chiuse gli occhi e sentì ancora una volta la sua pelle morbida e calda. Aveva voglia di assaporare i suoi seni, sentire il sapore dei suoi capezzoli. Le mani andarono sotto la camicia e velocemente le tolse il reggiseno. Aprì nuovamente gli occhi e trovò quelli di lei a brillare per l’eccitazione. Si tolse la polo e riprese a palpare quella carne abbondante, avvolgente. La voleva possedere subito, le tolse il perizoma, la fece sdraiare e la penetrò. Le mani di lei mentre si muoveva, gli accarezzavano la schiena. Erano tocchi leggerissimi, i brividi furono lunghissimi. Il suo istinto era quello di spingere ancora di più dentro, tutto era amplificato da quelle delicatissime carezze. Più si sentiva sfiorato e più la voglia di lui cresceva. Anche lei godeva e si lasciava andare. In quella danza era bello sentire come il suo membro veniva lubrificato dal suo umore.

Poi lei volle cambiare posizione e con un leggero gesto della mano lo fece sdraiare. Incominciò a leccare tutto il corpo. In quei momenti  lui si concentrò solo a quello che provava: sentì la lingua che gli percorse il petto, prima dedicandosi a stimolare un capezzolo e poi scivolando sull’altro. Si dedicava con tutta se stessa a quel gesto, non aveva premura di arrivare in altre zone erogene. Sembrava quasi che esistesse solo lui e la sua eccitazione in quel momento. Le sue labbra succhiavano e la lingua si arrotolava sull’aureola.

Proseguì fino ad arrivare al suo membro: scivolava eccitata tra la lingua e la sua vagina. Sentiva in quel gioco quanto era eccitata e vogliosa di lui. Poi con un gesto sicuro se lo inserì dentro e incominciò a ondeggiare piano piano. Lui gli prese i seni abbondanti e si fece travolgere da quelle rotondità così ricche.

Si lasciò andare come non mai in quella notte, non aveva mai conosciuto una donna che lo aveva reso partecipe del suo godimento, che si era lasciata andare e lo aveva fatto sentire Uomo.

Eliza Bennet

10 novembre 2014

Imprevisti

Aveva accettato con fatica quell’invito a pranzo, sperando fino all’ultimo in un imprevisto. Poi al momento di prepararsi per uscire, aveva trovato il buon umore. Con cura aveva scelto il bagnoschiuma per farsi la doccia e si era presa tutto il tempo per applicare la crema sul corpo. Aveva preso una quantità sufficiente di prodotto per stenderlo su un polpaccio e con le mani si massaggiava e ne assaporava la fragranza. Erano delle carezze che si faceva ad ogni parte della pelle, quasi che stesse compiendo un rito. Il tempo era dilatato, i minuti che impiegava nel compiere queste carezze sembravano interminabili.

Poi dolcemente passava all’altra gamba con la stessa cura e metodica. Erano quei momenti in cui si riappropriava del suo fisico. Nel compiere questi gesti lenti aveva incominciato ad apprezzarne le sue peculiarità, a guardarlo con amore, ad ammirare quelle cicatrici testimoni del suo passato, a non disprezzarlo più perché era dimostrazione della sua storia. Aveva scoperto che era il Suo corpo, il Suo tempio e se ne doveva prendere cura, proprio come una mamma fa con il proprio bambino. In quei momenti si concesse dei teneri gesti, piccole attenzioni: l’accarezzarsi del ventre, dei seni e poi con amorevolezza si guardò le sue rotondità femminili.

Non c’era musica migliore nel compiere quei gesti che in silenzio. Per caso poi, alzò lo sguardo e i suoi occhi si rivolsero allo specchio. Vedeva riflessa tutta la sua morbida nudità e non sentì più quel giudice cattivo che sistematicamente interponeva tra se e lo specchio. Spontaneamente sulle sue labbra nacque un sorriso. Si volse alla cassettiera e cercò con cura quale slip o perizoma la potesse ispirare. Il cassetto era stracolmo di ogni forma e colore di questo capo. Non si accontentò di prendere il primo che le capitasse per mano,  la sua attenzione si rivolse a quelli che si trovavano più in basso e finalmente ne scorse uno di suo gradimento acquistato tanto tempo fa e lo indossò. Prese il reggiseno, si rivolse nuovamente allo specchio e il sorriso che ne scaturì fu di assoluta approvazione. Aprì l’armadio e scelse la gonna a tubino nera che tanto le donava. Due spruzzate di acqua di colonia sul collo e indossò una camicetta leggermente elasticizzata.

Eseguì tutti i movimenti con calma, quasi fosse il giorno più importante della sua vita, invece era una semplicemente uscita. Il suo compagno era sotto ad aspettarla.

Doveva ancora truccarsi. Non amava usare ciprie coprenti, ma si concedeva due tocchi molto semplici: applicare una sottile linea nera con l’eye liner e il mascara che evidenziava quei occhi da cerbiatta. Scelse velocemente la borsa abbinata alle scarpe, una collana appariscente e un anello.

Adesso era finalmente pronta e si sentì apposto. Lentamente scese le scale e salì in macchina. Quando arrivarono al locale, il suo compagno ricevette una telefonata di lavoro e rimase sola ad aspettare. Per far passare il tempo incominciò a giocare con il cellulare e si guardò intorno. Rimase un po’ delusa: pensava che tutto il tempo che aveva dedicato alla cura di te stessa fosse stato notato dal suo uomo, invece si ritrova sola ad un tavolo.

Mentre sorseggiava un bicchiere di vino si avvicinò quell’uomo che all’ingresso aveva notato per il suo atteggiamento spavaldo. Non avrebbe voluto dargli confidenza, ma il tempo non passava mai e sembrava quasi un invito a farlo accomodare.

- Cosa fai? scrivi un messaggio al tuo fidanzato? - Esordisce. Lei vorrebbe nascondere quel telefono, sentendosi come un bambino che è stato appena colto in fragrante. Qualche istante per completare quello che stava scrivendo e lo mette in borsa.

Lei non riuscì a nascondere il suo disappunto e brevemente  gli raccontò la sua storia. Vedendo che il fidanzato stava arrivando, lui le lasciò il numero di telefono, avrebbero parlato con più calma in un altro momento, alcuni amici lo richiamarono e si alzò salutandola.

Eliza Bennet

8 novembre 2014

Non ti manca nulla

Si era girata e rigirata più volte in quel letto. Era presto per alzarsi, ma tutti i pensieri, le ansie non la lasciavano stare. In tutti questi mesi non era riuscita a trovare una soluzione. Aveva cercato dappertutto un qualsiasi posto di lavoro, ma nulla. Le risposte erano sempre le stesse: troppo qualificata, troppo filosofa, sprecata per fare un lavoro più semplice per le sue abilità, “curriculum interessante, le faremo sapere”. Le risposte dopo due anni di ricerca erano state sempre le solite. Ottenere un lavoro sembrava un muro invalicabile a cui lei non aveva diritto.

Si era scontrata con tanti ostacoli: aveva un’età di “donna fertile”, l’ambiente esclusivamente maschile e maschilista. Non bastava “dire e saper fare”, lo doveva eseguire molto bene, essere veloce nel capire le problematiche e trovare una possibile soluzione.

Non aveva perso la speranza, ma l’ultimo colloquio la fece riflettere. Si pose una domanda: è la mia strada? È veramente quello che desidero?

Silenzio. La risposta era talmente sincera che le fece paura. Aveva obbligato se stessa a perseguire un corso di studi lontanissimo dalle sue aspirazioni, aveva studiato e nonostante tutto era riuscita a conseguirlo. Ma adesso, guardava il suo percorso e vedeva solo tantissima fatica, pochi risultati e un incredibile stress.

Ancora una volta la stessa domanda: “Sei proprio sicura di voler continuare su questa strada? Ti sto guardando, vedo solo un’anima in mille pezzi, sai quanta fatica dovrò fare per ricostruire tutto? Smettila di torturarti, sono stanco anch’io di vederti soffrire in questo modo. Le tue lacrime sembrano gocce di sangue.”

Silenzio.

Si alzò senza sapere cosa doveva cambiare. In questi ultimi mesi aveva coltivato come un giardino prezioso le sue passioni: la lettura, il ricamo, la cucina, il giardinaggio, sistemato la casa rendendola più graziosa. Aveva fatto lavorare la mente e le mani, ma quella mattina non riusciva a togliersi quel senso di sconfitta nel non essere riuscita con la preparazione e lo studio quello che si era prefissata.

Non riusciva a fermare le lacrime: avevano il sapore amaro del fallimento.

Forse era proprio lì la risposta: non insistere. Il suo mondo era ricco di tantissime cose, in fondo non le mancava nulla.

Eliza Bennet