28 settembre 2014

Risvegli

Era una notte umida, il caldo era soffocante, ma loro non  si erano risparmiati: si erano uniti fino ad essere sfiniti dal piacere. Solo un ventilatore dava un po’ di refrigerio a quei corpi da cui trasudava ancora il desiderio di essere uniti carnalmente.

Non si erano fermati un istante. In quel letto dalle lenzuola sgualcite rimanevano due corpi distesi che avevano espresso quanto si fossero desiderati.

Le pale del ventilatore continuarono a ruotare e a vegliare su un uomo e una donna. Solo qualche parola ed entrambi dopo qualche minuto chiusero gli occhi e si addormentarono.

Dopo qualche ora di ristoro, lui si svegliò, fece una doccia e mentre lei dormiva, in silenzio si rivestì, andò in cucina a preparare qualcosa.

Erano le prime luci dell’alba e mentre apriva il frigorifero per soddisfare quel vuoto allo stomaco, si accorse che avrebbe fatto molto poco con quello che si trovava lì. Chiuse piano la porta per non farsi sentire e non svegliarla. Lungo il tragitto pensava a questa nuova situazione che inaspettatamente stava  vivendo. Una donna non era mai rimasta per più di qualche ora nel suo appartamento e gli sembrava strano che avesse interrotto in quel modo così naturale quelle abitudini consolidate da così tanto tempo.

La città ormai si stava svegliando, quasi tutte le attività, avevano sollevato le saracinesche e girando l’angolo trovò il solito bar. Acquistò tre brioche golosissime, poi dal fruttivendolo prese un po’ di verdura e al supermercato aldilà della strada, prese qualche altra provvista.

Aveva lavorato tanto in quest’ultimo periodo che una vacanza dal lavoro se la poteva concedere. Non capiva il perché, cosa lo spingeva a fare tutte quelle azioni, sapeva solo che tutto questo lo faceva star bene e lo faceva senza pensarci tanto. Lei nella sua semplicità e determinazione lo aveva toccato nel cuore.

Si fermò, guardò all’insù assorto nei suoi pensieri e fece il punto della situazione. Aveva preso tutto quello che poteva essere necessario per questa giornata con lei: qualcosa di dolce per farle riaprire gli occhi, gli ingredienti per un pranzetto e riuscire, forse, a soddisfare il suo gentil palato, il vino per inebriare le sue membra e per il suo cuore? Doveva fare qualche metro più in là ed entrare in quel minuscolo negozio di fiori gestito da quella simpatica signora. Il profumo all’interno era intenso, ma quello che più lo colpì fu una piantina di pomelie.

Rientrò a casa soddisfatto, facendo ancora attenzione. Velocemente sistemò tutto in un vassoio, preparò il caffè e si diresse in camera da letto.

Spostò alcuni libri e inavvertitamente fece rumore e lei aprì gli occhi. Lui non riuscì a trattenersi dal porgerle un bacio. Fecero una doccia insieme. Lui la insaponò quasi a volersi prendere cura di lei. In fondo era una scusa per riprendere quello che la notte precedente si era interrotto.

Eliza Bennet

27 settembre 2014

Tu

Non dimenticare chi sei
Tu.
Bella
Un profumo
Gocce
dolci
Sei così
Bella
Una carezza
sul tuo corpo.
Vivi
Fragile.

Eliza Bennet
21 dicembre ‘05
Sade “By your side”

25 settembre 2014

Vento

Apri la finestra e sorpresa un effluvio respiri.

Socchiudi gli occhi
L’aria sfiora le palpebre,
muove i capelli lasciati sciolti sulle spalle.

Come aver cambiato vestito,
Ne hai respirato la leggiadria di un leggero vortice.

Sospiri di vita in un breve istante.

Sorridi,
un soffio di vento per
stupirti ancora una volta.

Eliza Bennet

22 settembre 2014

Corri

Un richiamo.

Un istinto.

Ti ha fatto uscire e lasciare tutto così, senza dare spiegazioni.

Dal profondo del tuo cuore una voce imperativa di incita a muoverti.

Tra gli alberi assapori il profumo dell’erba bagnata, l’aria è pulita.

Le fronde di alberi maestosi ti incitano ad andare, di correre ancora più velocemente.

Dentro di te: una pace assoluta e sconfinata.

Le gambe forti procedono senza sosta e non avvertono alcuna fatica.

Fai parte di quel paesaggio rigoglioso che ti dice: “Vai, Vai!”

Esulti per questo infinito canto che ti viene dal profondo.

Per aver ascoltato la tua natura.

Sai che dopo tanta fatica dalle tue mani nascerà il fiore tanto atteso.

Lo hai voluto tu e ringrazierai solo te stessa perché hai lottato e creduto fino all’ultima lacrima che hai versato.

Nessuna barriera: in silenzio guardi lontano.

Eliza Bennet

20 settembre 2014

Cioccolato


Socchiuse gli occhi mentre lui incominciava a toglierle la camicetta.

Sentì dei brividi mentre le sue mani senza indugiare e far trapelare nessuna emozione, le aprivano quell’indumento bottone dopo bottone. L’attesa nell’essere spogliata aumentava ancor di più l’attrazione fisica che esisteva tra loro.

Mentre lui era dedito a quel lento gioco, a lei tornarono in mente quanti anni aveva dovuto aspettarlo: quanti eventi, quanti allontanamenti, avvicinamenti, attese, occhiate erano trascorse prima di trovarsi soli in quella camera d’albergo. Finalmente quella costanza e quel desiderio erano stati premiati, poteva esprimere con tutto il suo corpo quanto lo aveva desiderato.

In passato c’era stata solo un’occasione di un furtivo bacio e poi più nulla. Fino a quest’incontro.

Non appena la porta si chiuse dietro di loro, le loro braccia s’intrecciarono, i loro corpi furono vicinissimi e lei poté poggiare la bocca sulle sue calde e carnose labbra. Esse si schiusero e le lingue si intrecciarono, le loro salive si fusero  e incominciarono a cercarsi e voler sentire i reciproci profumi.

Lei riuscì solo a togliergli la polo, perché lui voleva finire di spogliarla. Sentiva il passaggio d’aria lungo la schiena mentre si aprivano i bottoni. Aveva acquistato per l’occasione quella camicia di seta color rosa antico. Il taglio era sartoriale, le cadeva a pennello disegnando le linee morbide del decolté. Aveva abbinato dei classici pantaloni a sigaretta neri che insieme a dei sandali con motivi floreali dal tacco vertiginoso, slanciavano la figura.

Lui non si irritò per quella camicetta così complicata, anzi, i suoi gesti attenti mettevano in evidenza quanto apprezzasse un capo così pregiato.
Una volta che ebbe finito, l’indumento lo depose sulla poltrona e appoggiò la bocca sulle spalle.

Aveva ancora da toglierle quel delizioso reggiseno in pizzo che sosteneva due frutti carnosi. Strofinò le labbra quasi a gustarla come se fosse un dolce e respirò l’odore che emanava la sua pelle. I movimenti lenti erano amplificati da quella stanza sconosciuta e segreta.

Sganciò il reggiseno e sempre da dietro allungò in avanti le mani verso i seni  che li strinse e si portò davanti. Lei lo abbracciò e restituì il gesto con un avido bacio.

Si spogliarono.

Lui dopo averla fatta sdraiare fece un gesto inaspettato: le coprì gli occhi con un foulard e le disse di aspettare ancora qualche istante.

Di lì a breve lei sentì un odore inebriante di cioccolato fuso e qualcosa di denso che colava lungo il corpo. Era una sensazione stranissima e piacevole allo stesso tempo: una sottile scia le aveva descritto le labbra, poi senza interrompersi, aveva proseguito lungo il mento, il collo e poi aveva deviato su quelle concavità provocanti. Scendeva lungo la pancia e poi una mano delicata le aveva fatto aprire le gambe. Aveva sentito che quella sostanza si stava insinuando tra le sue labbra già umide per l’eccitazione.

Lui ingordo la baciò e il sapore di cioccolato rese quello scambio ancora più voluttuoso.

Proseguì a leccarla quasi fosse un gelato prima i seni e dopo succhiò bramosamente i capezzoli. Lei mugolava dal piacere che quel gioco le provocava. Voleva ricambiare, ma lui non glielo permetteva: la assaporava e la mordicchiava leggermente, fino a quando arrivò al centro del piacere.  

Eliza Bennet

16 settembre 2014

Teatro

Era bastato guardare in tv un film in cui si parlava di lirica, per riportarti indietro nel tempo, quando i tuoi genitori avevano fatto un abbonamento al teatro.

Ti ritornò quella scena davanti a te, come se avessi un’altra  possibilità per rivivere e ascoltare quella melodia.

Non fu necessario chiudere gli occhi.

Ritornasti in quella atmosfera di tanti anni fa: il quarto loggione quasi centrale di quel famoso teatro lirico.

Come un bambino stupito nel poter scoprire un luogo incantato, così tu eri meravigliata nel poter accedere in questo teatro maestoso, riccamente decorato, dove ogni cosa aveva un nome particolare come la “maschera”, che indicava un signore in livrea che guidava il pubblico al suo posto.

Accompagnata insieme ai tuoi genitori, ti condusse ad una porticina laccata bianca con modanature dorate e aprendola ti trovasti in un piccolo anticamera dove lasciasti il soprabito su un attaccapanni. Da qui potesti accedere direttamente al loggione dove vi erano delle comode poltrone e ti sporgesti un po’ per ammirare tutta l’ampiezza del teatro stesso. Guardando in basso a una certa distanza si trovava la platea e in fondo l’orchestra. Gli occhi si spostarono di fianco e ti piacque notare la forma semicircolare scandita dai palchi divisi in altezza da sottili colonne lignee.

Applique con motivi vegetali tra i loggioni illuminavano lo spazio. A poco a poco le persone prendevano posto, quasi ad arricchire un edificio già strepitoso di suo. I tuoi occhi si portarono verso l’alto e notarono la cupola fortemente ribassata e affrescata. Avresti voluto portarti più vicino per apprezzare meglio quelle figure umane e toccare i panneggi delle sottili vesti. Mentre eri assorta in quei pensieri le luci si abbassavano, entrò il direttore d’orchestra, un breve applauso e la magia iniziò.

Il sipario si aprì a dei ballerini già disposti in fila che insieme all’orchestra raccontarono “Il Lago dei cigni” di Čajkovskij.

Un racconto tra musica e danza.

L’atmosfera era sognante e ti sentivi una di loro nelle vesti di una cortigiana.

Le parole erano note e ti muovevi leggera e aggraziata. In perfetta sincronia con le altre, eseguivi volteggi e piroette.

Tutto si svolgeva in armonia e naturalezza. Non c’era distinzione tra musica e ballo: danzavate insieme in un incanto di note melodiose.

Anche se tu guardavi dall’alto, ti sentivi parte di loro.

Come un cigno poi, scivolavi sull’acqua maestoso, elegante: un tutù candido sottolineava il punto vita lasciandoti libera dai movimenti, al posto delle piume, indossavi bianche calze e un bustino con minuscoli cristalli.

Era una favola nella favola: una festa danzante con Siegfried, il principe che libera Odette, la principessa, dall’incantesimo dello stregone Rothbart.

Eliza Bennet

14 settembre 2014

Come un Inno

Non basteranno
queste semplici parole.
Non basterà
una semplice telefonata
a placare il mio cuore.

Vorrei poter avere
la forza del vento
e i colori dell'arcobaleno.
Disegnare con tutte le note
le sfumature del tuo sorriso.

Aspetterei poi,
un istante per farmi accarezzare
dai tuoi occhi
che sapientemente
asciugheranno
alcune lacrime.

Eliza Bennet
30 Aprile 2011

Una giornata serena

Sopra di noi
Dentro di noi
una musica bellissima
al mare
anche lì abbiamo fatto l’amore
caldo torrido
Per la strada
Morcheeba
una fila di alberi
Il canale brilla
come il mio cuore:
voglio ricordare questa canzone
quest’emozione
quest’amore
questa serenità.
Andiamo avanti
su questa macchina piccolina
Eravamo felici quel giorno.

Eliza Bennet
22 maggio ‘06
Morcheeba “Undress me now”

8 settembre 2014

Giochi di bambina

Una bambina normale con tanta voglia di vivere. Quando eri piccola riuscivi a contagiare anche la persona più scontrosa e arcigna richiamando la sua attenzione con un sorriso e un saluto.

Sei sempre stata così.

Ti bastava poco per farti felice: non avevi tante bambole, le trattavi con cura, gli abitini li creavi con dei fazzolettini ricamati regalati dalla mamma, che posizionati abilmente ai tuoi occhi, diventavano con l’ausilio di nastri dei preziosi abiti da sera.

Quanti sogni! Quante storie infinite inventavi.

Non era necessario avere la sedia o il mobiletto giusto: ai tuoi occhi un pezzo di legno diventava un letto a baldacchino dove poter riporre la tua bambola per farla riposare.

A volte avresti voluto giocare con tuo papà, ma ti bastava essere con lui nel soggiorno, che alzasse il volume dello stereo costruito dalle sue abili mani, e di colpo muovesse le braccia come un maestro d’orchestra.

Dovevi stare in assoluto silenzio e ascoltare.

Quella volta ti stupì quando mise il 33 giri con la sinfonia “La Cenerentola” di Gioachino Rossini: si era immedesimato a tal punto da non voler essere distolto da quella melodia e cogliere tutte le sfumature di ogni singolo strumento.

Fu una delle prime volte che incominciasti a sognare ad occhi aperti, immaginando di vivere realmente quella favola tanto conosciuta e raccontata in musica. Di fronte a te, le sorellastre, la matrigna e poi quasi per incanto con un tocco di bacchetta fatata indossare quel vestito color cielo. Le parole erano sostituite alle note e intuivi i passaggi dove c’era il momento di tristezza oppure il fatidico gran ballo con il principe. Non potevi parlare, ma ti era concesso seguire la musica.

Tuo padre era felicemente assorto e si stava regalando quel momento di libertà. Tu ne godevi perché potevi stare finalmente vicino a lui.

Quel pomeriggio hai desiderato che un giorno saresti diventata anche tu una Donna e orgoglio di tuo Padre.

Eliza Bennet

7 settembre 2014

Sconosciuto

Rocce che cadono giù
nel Mare impetuoso
onde
come porte che sbattono al vento.
In quella roda
Una forza arcana
s’infiltra tra le rocce
aguzze e consumate.
Uno spirito anelo e incomprensibile
gira tra un sasso e l’altro.
Profondo, senza confini
Mare…
Dolce…
Tenebroso…

Eliza Bennet
1994

2 settembre 2014

Alle prime luci dell'alba

Avevano trascorso una serata in compagnia di amici, si erano divertiti e bevuto tanto. Si erano scatenati in quel piccolo locale dove suonavano musica funky.

Mentre ballavano tante volte si erano stuzzicati, baciati e ogni tanto le mani di lui erano andate un po’ oltre i semplici sfioramenti. Lei diverse volte lo aveva fermato per quel senso di pudore: certe “carezze” non potevano essere fatte in pubblico, dovevano rimanere segrete e non esibite.

Questo gioco di avvicinarsi per poi allontanarsi, li rendeva ancora più desiderosi l’una dell’altro. Era bello poter condividere la voglia di divertirsi con poco, lasciandosi andare incuranti di cosa la gente potesse pensare. Si sentivano liberi di esprimersi con il movimento e dichiarare al mondo intero che si amavano e lo esprimevano con tutto il loro corpo.

Si staccavano e si ripigliavano a loro modo: lui con movimenti tribali, lei in tutta la sua carica sensuale che possedeva. Poi, bastava un passo, un motivo per tornare nuovamente intrecciati corpo a corpo con le loro bocche e si univano annodandosi vigorosamente.

Tornati a casa, avevano esaurito tutte le energie e solo un meritato riposo avrebbe restituito loro la giusta carica. Si addormentarono in pochi istanti dopo essersi augurati reciprocamente la buona notte.

Dopo qualche ora, ormai alle prime luci dell’alba, forse per il forte temporale che si era abbattuto o il violento scrosciare dell’acquazzone, lei si svegliò: andò in bagno, bevve un sorso d’acqua e ritornò a letto.

Non riusciva a prendere sonno, erano troppo forti i lampi e la pioggia che cadeva. Spense la luce e allungò un braccio verso di lui e si strinse con tutto il fisico.

Sentirlo così inerme mentre lei si appoggiava a quei muscoli accese una strana voglia. Lentamente allungò una mano e accarezzò la schiena, il fianco, poi le dita si portarono sui boxer sfiorando il gluteo. Cresceva la voglia di andare in profondità, di sentirlo sempre di più e sollevò l’elastico, sfilando quell’indumento.

Piano piano lei si spostò un po’ sopra di lui che si abbandonava  alle sue carezze. Senza svegliarlo e con dei movimenti precisi riuscì a togliere del tutto i boxer e averlo tutto per se. Lui ancora non era eccitato, ma lei non si pose il problema: le dita sfiorarono l’interno coscia e non appena arrivò al suo membro lo accarezzò, appoggiandovi la bocca.

Incominciò a leccarlo delicatamente, senza mani assaporando con la lingua tutti gli odori lungo tutta la lunghezza. Lo amava e amava dargli piacere. Mentre lo assaporava la lingua gli abbassava il prepuzio cercando di avvolgerlo in tutta la circonferenza. Le piaceva come con la sua bocca riuscisse a far diventare eretto il suo membro. Non aveva fretta nel farlo venire, lo gustava istante dopo istante in quella piacere incredibile che provava nel sentire ogni centimetro di quel misterioso organo che s’inturgidiva con i suoi movimenti.

Godeva e lentamente anche lei si bagnava mentre con la bocca il pene diventava eretto. In certi momenti si divertiva ad andare più veloce e poi rallentare, lasciando che uscisse dalla bocca per farlo rimbalzare sull’inguine.

Il gioco cambiò: si mise a cavalcioni su di lui, si strofinò il membro tra le grandi labbra umide e lo mise dentro.

A quel punto lui si svegliò e continuarono insieme la danza.

Eliza Bennet