Si poteva capire da quel rumore compatto di quei mitici bicilindri il suo arrivo.
Tutti,
compreso chi non era appassionato Ducati, volgevano lo sguardo di
fronte a quella moto che qualche anno prima aveva vinto alcuni mondiali
superbike.
Il
suono era pulito, denso, sembrava come una donna selvaggia con il suo
cavaliere che docilmente era riuscito a domare. Lui aveva imparato come
accompagnarla, si era instaurato un legame forte e indissolubile.
Era
diventato uno stile di vita: su quelle due ruote aveva finalmente
riassaporato la voglia di vivere, di godere con semplicità la compagnia
di quei quattro matti come lui, e farsi quattro risate rilassate di
fronte a una birra dopo aver percorso un bel po’ di kilometri su quei
indomabili destrieri.
Sembrava
che lei, la sua 999, potesse capire quando desiderasse fuggire da
tutto: dagli impegni, dalla solita e sterile vita quotidiana. Era lì nel
suo garage, pronta per un altro giro e sentirsi ancora una volta
libero.
Non aveva concesso a nessuna donna di intromettersi in quella passione.
Quando
lui la cavalcava era il suo momento dove abbandonava tutto e desiderava
essere solo con se stesso. Quando accendeva il motore sembrava quasi
che scalpitasse per andare fuori e percorrere ancora una volta quelle
curve sinuose. Lei era un po’ capricciosa, ma con sapienza lui era
riuscito a capire come assecondarla e come farle prendere, nella giusta
traiettoria, quei tornanti impervi.
Tutto
gli scorreva attorno a lui: il mondo circostante, seduto su quella
sella lo vedeva da un’altra prospettiva, guardava le cose con distacco,
senza nessun filtro, esattamente come dovevano essere, belle o brutte.
Quando
la strada lo permetteva poi, dava gas a quel motore sensazionale e lo
faceva respirare come un vero e vigoroso purosangue.
Stava varcando le porte del cancello e lei lo aveva riconosciuto: giubbotto in pelle su quel cavallo nero ribelle.
Si guardarono e bastarono alcuni cenni con il viso per intendersi.
Eliza Bennet
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